Usi, riusi e abusi del suolo. Il Soprintendente Nuzzo: “Non basta “ricostruire” o “valorizzare” in termini funzionali o economici: è necessario restituire significato”

Usi, riusi e abusi del suolo. Il Soprintendente Nuzzo: “Non basta “ricostruire” o “valorizzare” in termini funzionali o economici: è necessario restituire significato”

Questa mattina il Soprintendente Mariano Nuzzo ha partecipato al convegno “Usi, riusi e abusi del suolo” promosso dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, nell’ambito della manifestazione mondiale “Notte della Geografia”, nell’Aula Liccardo.

Un momento di confronto per un’analisi transdisciplinare sulle politiche del suolo, affrontate dal punto di vista ambientale, storico e tecnologico, nel corso del quale il ruolo della Soprintendenza per la tutela e la salvaguardia del territorio è stato fortemente sottolineato dal Soprintendente Nuzzo con il suo intervento su “Patrimonio culturale, ambiente e progetto urbano: per una sostenibilità fondata sulla conoscenza” e dal funzionario archeologo della Sabap dell’Area metropolitana di Napoli Luca Di Franco, che ha relazionato su “Gli scavi per le opere pubbliche come ricerca e risorsa”.

Il Soprintendente Mariano Nuzzo ha dichiarato: “Plaudo a questo spazio di dialogo dedicato a un tema che oggi non è soltanto centrale, ma direi urgente: il nesso tra sostenibilità, trasformazioni urbane e patrimonio culturale. La parola “sostenibilità” rischia talvolta di diventare un’etichetta, se non viene supportata da una riflessione profonda sul senso dei luoghi, delle relazioni che vi si svolgono e sulle eredità culturali che costituiscono i tessuto profondo dei territori. In quest’ottica, la sostenibilità ambientale non può prescindere da una sostenibilità culturale, che è fatta di consapevolezza, di cura e – soprattutto – di conoscenza. Come scrive la geografa Doreen Massey, “lo spazio è una costruzione relazionale, continuamente plasmata da storie e identità che lo attraversano”. Ed è proprio da queste storie che occorre ripartire quando si progetta o si trasforma una porzione di città o di territorio. La memoria non è ostacolo al cambiamento, ma sua precondizione. Il paesaggio – e con esso il patrimonio – non è una categoria estetica, ma una costruzione politica. E’ l’esito di scelte compiute nel tempo e, al contempo, l’orizzonte su cui si proiettano le scelte future. In questo senso, l’ambiente urbano va pensato come un dispositivo complesso, dove dimensione ecologica, culturale e sociale si intrecciano.

Le politiche pubbliche che mirano alla rigenerazione urbana devono dunque farsi carico di questa complessità. Non basta “ricostruire” o “valorizzare” in termini funzionali o economici: è necessario restituire significato. Come ricorda l’economista ed ecologista Tim Jackson, “prosperità non significa semplicemente avere di più, ma essere di più”. E’ in questa prospettiva che si colloca il contributo delle discipline che studiano le politiche ambientali e territoriali: offrire strumenti per leggere il contesto, ma anche per attivare processi di responsabilizzazione collettiva. La transizione ecologica, se vuole essere autentica, deve passare per una transizione culturale. Le città, soprattutto in Italia, sono stratificazioni viventi. Ogni intervento su di esse – sia esso di recupero, di infrastrutturazione o di ridefinizione degli spazi pubblici – dovrebbe muoversi con la stessa attenzione con cui si traduce un testo antico: senza tradire il senso, ma rendendolo comprensibile a chi verrà dopo. Credo fortemente, quindi, che il nostro compito – come studiosi, come progettisti, come cittadini – sia quello di abitare consapevolmente questa eredità. Non per conservarla in una teca, ma per darle voce nel presente. Come ha scritto Italo Calvino: “La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano”. E noi dobbiamo imparare a leggerlo”.

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